Quarantena genitori e figli: Edipo re.

Quello che accade dentro le mura domestiche tra genitori e figli è un tema molto battuto e considerato in questo momento durante i miei colloqui analitici: i figli, piccoli e meno piccoli, si ritrovano costretti all’interno dell’abitazione in compagnia di persone onnipresenti che fino a poco tempo fa si garantivano un impegno quotidiano tra dinamiche lavorative ed altro, i propri genitori. La co-presenza amplifica ciò che già c’era (o non c’era). Generando a volte situazioni faticose tanto per i genitori quanto per i figli.

I genitori cercano strategie ludiche, passatempo e maneggiamenti della realtà per garantire ai figli un tempo non troppo sofferto: è corretto, auspicabile, ma c’è dell’altro.
Per comprenderlo parleremo di una fiaba, L’Edipo Re (Sofocle drammaturgo greco), da cui Freud postulerà l’ipotesi del complesso di Edipo, ma l’immagine più eloquente ci deriva dall’Edipo di Pasolini.
In sintesi Laio, re di Tebe, ha una profezia onirica: il figlio Edipo vorrà prendere il suo posto di re. Il significato del sogno è ovvio: Laio è un re, un padre onnipotente, non ammette rivali, e non può permettere al figlio Edipo di usurpare il trono. Ma Laio non comprende il significato funzionale del sogno, di arresto e segnalazione di pericolo. Così ne decreta la morte. Ma i soldati graziano il piccolo infante e lo lasciano nella foresta, laddove viene salvato e cresciuto da una famiglia di onesti cacciatori. Edipo diviene un uomo forte, intenso, robusto, che nell’ombra amara della inconsapevolezza decide di conquistare Tebe: uccide così il padre Laio, conquista Tebe e possiede sessualmente la madre Giocasta. Insomma perpetua inconsapevolmente un incesto e, quando la verità viene a galla, colpito dal furibondo senso di colpa si acceca e vaga errante e precario per il mondo.
Freud postulò il complesso di Edipo osservando appunto uno schema relazionale in cui il bambino dopo i tre anni, raggiunta una maturazione sessuale genitale, desidera il genitore del sesso opposto ed entra in competizione col genitore dello stesso sesso: insomma una visione conflittuale e altamente nevrotica e decisamente confusiva.
Ma quello che ci interessa non è tanto che si crei da parte del figlio un terreno belligerante e astioso, bensì capire come si origina.
E Pasolini nel suo Edipo realizza l’idea di Sofocle: quando il padre (il genitore) entra in competizione con l’esistenza del figlio per proteggere il proprio primato e il proprio territorio, consapevolmente o meno, si innesca la tragedia dell’umanità: un conflitto sanguinolento tra generazioni senza fine.
È il dramma dell’umanità, ed Erodoto nel V sec. A.C. Ci rende edotti: la guerra è il momento in cui i padri mandano i figli a morire; la rivoluzione è il momento in cui i figli si ribellano e uccidono i padri.
Come uscire da questo impasse? I padri/madri devono rinunciare al proprio potere, alla propria egemonia, alla propria nevrosi: e lasciare il proprio posto ai figli. Devono insomma imparare a morire.
È molto più complesso di quanto appaia: un abbraccio in meno abbandona; un abbraccio in più soffoca.
Arriviamo al dunque: nella quarantena forzata i creatori stanno a contatto stretto con le proprie creature/creazioni, e per il nostro benedetto inconscio genitoriale che molto si avvicina al temperamento del Laio di Sofocle, mai l’occasione può essere più ghiotta per liquidare gli amati figli. Tramite un’intolleranza, aggressività e conflitto nei casi più evidenti; tramite il mascheramento massiccio della realtà, l’abbraccio Iper-protettivo, il gioco del nascondersi nei casi meno evidenti; tramite la parola non detta e la carezza non data, o tramite il bacio dato per sedare le nostre ansie genitoriali piuttosto che quelle presunte dei figlioli.
Messa così sembra che non ci sia scampo.
Poi oggi mia moglie Chiara mentre sono impegnato nella lunga serie di colloqui analitici quotidiani mi scrive che è stanca, che ha sbottato con i gemellini dopo un mese che non escono da casa e già so che al ritorno a casa mi sfoggerà tutti i suoi sensi di colpa.
Allora penso che, al di là dei giochi, delle distrazioni e dei compiti, forse la chiave per esorcizzare le complessazioni edipiche e le svariate formule lesive verso i fragili figlioli (in questo momento di grande precarietà che naturalmente amplifica tutto ciò), forse è proprio questa: una madre che ama con tutta se stessa, che cerca di fare del suo meglio, che bacia abbraccia pulisce lava e cucina, e ogni tanto magari sbotta perché proprio non ce la fa più e magari in qualche momento quasi quasi li detesta questi adorabili marmocchi.
E poi il giorno dopo ricomincia ad amare.

(a mia moglie Chiara e ai miei gemellini Fede e Giada)