Gli adolescenti in quarantena (in gabbia)

Molte famiglie si trovano in casa ragazzi adolescenti che, come tutti quanti noi, vivono la costrizione protettiva di questo momento.

Non dimentichiamo che l’adolescenza si caratterizza per lo stato di enorme vitalità che in questa fascia di età raggiunge il suo acme, patendo in maggior misura le misure contenitive della quarantena.
Si tratta del periodo maximo dell’esplorazione, della potenza vitale, del tentativo di rottura degli schemi precedenti e dei vincoli familiari, della trasgressione e, soprattutto, della precarietà.
Sì perché l’adolescente vive nella condizione paradossale e conflittuale di colui che desidera assaggiare l’autonomia tipica dell’adultità ma intimamente la teme, sente di non avere gli strumenti specifici per fronteggiarla.
Allora si improvvisa onnipotente e in grado di bruciare magicamente le tappe, tramite strategie Iper-risolutive che innescano un effetto stupefacente/instupidente (vedi fruizione di droghe stimolanti) finalizzato a non percepire l’angoscia tipica di questo passaggio.
Alcune strategie sono più fini: il piercing linguale ad esempio viene realizzato non solo per la realizzazione di un senso di appartenenza a un clan rassicurante, e non solo per caratterizzarsi in senso narcisistico, ma soprattutto per stimolarlo continuamente stuzzicandolo con la lingua per interferire con il ciclo di eccitabilità di un’area cerebrale limbica specifica: il fine è sempre quello di “eccitarsi”, alzare la temperatura psichica, in estrema sintesi anestetizzarsi con un piacere primitivo e primario.
Altri si trincerano nell’immagine interna che percepiscono più consona e rassicurante: l’adolescente quieto all’apparenza ma che intimamente rimugina su progetti demolitivi a lungo termine.
Oppure attraverso formule seduttive ed ammaliatrici: mi viene in mente il film capolavoro emblematico American Beauty di Sam Mendes, che ci mostra come la seduzione di una ragazza adolescente rivolta al padre dell’amica (uno strepitoso Kevin Spacey che recita la parte di uomo insoddisfatto della monotonia della propria esistenza basata su stereotipi fasulli e sovrastrutturali, il quale trova e realizza una soluzione reagendo in direzione regressiva e fanatica sono all’estremo dell’allucinosi), mascherasse in realtà un’angoscia potente nel confronto con l’adulto maschio; in sintesi dietro a quella spavalderia becera e seduttiva si celava la richiesta di un’attenzione protettiva, che se non interpretata può portare all’attivazione di risposte predatorie e competitive da parte dell’adulto.
Mi viene in mente anche l’affascinante Lolita del genio Stanley Kubrick, in cui viene rappresentato il riscatto violento e onnidistruttivo di una ragazzina impertinente che si vendica dell’adulto predone, gestendolo con il suo potere erotico: un Eros colmo di fragilità e di bisogno, che in quanto tale dovrebbe essere riconosciuto e tutelato.
Poi c’è l’adolescente ritirato, ombroso, occluso dentro un ventre di paranoie e conflitti interiori, intriso di una rabbia non verbalizzata.
Ce n’è per tutti insomma, ma sempre il mosaico comportamentale dell’adolescente descrive quel mix complesso di rabbia e di fragilità. Sempre. Non esiste diagnosi, ma solo la comprensione di un meccanismo conflittuale interno in cui la tensione dell’angoscia è davvero potente, e le forme di comunicazione primordiali e intense.
Il compito del genitore è proprio quello di tradurre quel linguaggio basico in una comprensione articolata dei suoi accadimenti emotivi. Per poi accompagnarlo in quel percorso colmo di angoscia e di fragilità che è il varco verso la sua scoperta originale dell’esser-ci nel mondo.
La SUA scoperta, non la nostra.
La SUA fragilità, non la nostra.
Nel SUO mondo, non nel nostro.
Allora è necessario spogliarsi di ogni aspettativa, nevrosi, giudizio, ed essere autenticamente in grado di ascoltare e contenere le sue angosce nell’accettazione di quel capolavoro che è la SUA personalità.
Ma ancor prima occorre costruire un ponte dialogico, un’intimità che ci renda credibili ed affidabili: basata dunque sulla verità, sul racconto della nostra storia, in modo onesto e affrancato da ogni desiderio di performance.
“Cazzo vuoi…non mi rompere i coglioni….” e altre locuzioni tipiche, alternate a monumentali silenzi e non risposte, o ad urla indemoniate, rappresentano la barriera tipica della diffidenza.
È il compito genitoriale sospendere ogni giudizio e ricostruire un legame di fiducia, ripeto partendo da sé, dallo scoprirsi senza remore. Per poi aiutare il giovane a comprendere il proprio mondo interno, la propria rabbia, e infine farsi accompagnare (emotivamente) nel faticoso e angosciante travaglio della crescita come uomo e come donna.
Sarà difficile spodestare il tablet o il cellulare, bisognerà proporsi in maniera più accattivante e affascinante, e più credibile.
Ma siamo tutti in casa in quarantena, il tempo non manca giusto?
Chissà che in questo tempo nuovo non si riesca a riscoprire anche in noi “adulti” quel quid di adolescenziale che ci farebbe così bene per riscoprire un senso di esplorazione e di intensità da troppo tempo perduto…