Il gioco dell’analisi

Una mia paziente (nel senso più corretto del termine, cioè che ha la pazienza di lavorare con me), mi ha inviato pochi minuti fa il seguente messaggio:

“Comunicato del sindacato nazionale degli psichiatri: cari concittadini, poiché siamo inondati di chiamate, vi informiamo che durante il periodo della quarantena è assolutamente normale parlare con i muri, con le piante e con altre cose; vogliate contattarci soltanto se vi rispondono, grazie”

Io: “Mi raccomando quindi, se il muro le risponde non esiti a contattarmi”

Lei: “Mah! Parlavo poco fa con l’armadio ed era d’accordo anche lui”

Io: “No se c’è concordia non mi chiami, è tutto a posto. Mi chiami solo le l’armadio si incazza”

Ed entrambi abbiamo riso.

Io ne avevo bisogno, dunque grazie. Forse anche lei ne aveva bisogno. Comunque abbiamo un buon affiatamento, ci piace ridere, poi anche arrabbiarci, e angosciarci, e discutere, e volerci bene, e poi ancora ridere. Insomma giocare.
Un grande psicoanalista, Winnicott, scrive: “È nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé.”
Oggi è assolutamente fondamentale riscoprirsi in grado di giocare, reinventare se stessi e la situazione, giocare con, e ridere come alta sublimazione del dolore.
Sempre Winnicott: “La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme.”
Sono pienamente d’accordo, assolutamente: se non mi diverto e se non gioco col paziente, tra una nevrosi e l’altra, io non percepisco la relazione e il luogo dell’analisi si svuota, diventa mero esercizio intellettuale.
Lo scambio di messaggi di cui sopra, innescato da una mia cara paziente (nel senso appunto che ha pazienza di lavorare con me e nel senso che le costa pure caro:)), stasera mi ha consolato (spero che non mi legga altrimenti chiederà lei la parcella a me!;)). E ho pensato che tutti i pazienti oggi, da mattina a sera, nonostante reclusi e in compagnia delle loro preoccupazioni e taluni delle loro intime nevrosi, nonostante i colloqui svolti tramite un pc o un cellulare, mi hanno fatto vivere, viaggiare, sognare, pensare, concentrarmi e ridere.
Grazie. Spero di aver fatto altrettanto con loro.
E spero che non si perda la voglia di giocare.
Altrimenti sì che sarebbe un bel guaio…